Arte Cinese

Pittura

In Cina, sin dal suo nascere, si è sottolineato l’aspetto didattico della pittura, vista come strumento capace di educare e sviluppare quei valori che regolano i rapporti umani. Nulla quanto la pittura riflette la storia dell’anima cinese, perché il pittore in Cina non era solo un artista di professione ma un filosofo, un saggio. Per questo i Cinesi consideravano la pittura “la perfezione del sapere”, l’espressione del livello culturale e dell’integrità morale di un pittore. Per Shi Tao (1642-1718) “la pittura obbedisce all’inchiostro, l’inchiostro al pennello, il pennello alla mano, la mano al cuore del pittore”.

Le 4 principali tematiche della pittura tradizionale sono: paesaggi, ritratti, uccelli e animali, fiori e piante. La pittura cinese predilige la natura, raramente rappresenta l’uomo e spesso assume un significato simbolico, così, il fiore di susino esprime la primavera, il crisantemo l’autunno, il bambù significa amicizia perenne e longevità, richiama il carattere del saggio (verde in tutte le stagioni e non si spezza sotto gli uragani); orchidea, bambù, susino e crisantemo rappresentano il qi (energia vitale) delle quattro stagioni e delle quattro età dell’uomo e sono considerati i “quattro nobili”.

Solamente evidenziando l’essenza di un oggetto si riesce – secondo i pittori cinesi – a rappresentare il bello, perché l’arte è interpretazione della realtà esistente e non una semplice riproduzione.
Caratteristica è in Cina la stretta connessione tra calligrafia e pittura. Infatti il carattere che è nato come il disegno di una cosa reale, pur nella trasformazione subita attraverso numerosi passaggi e nella sua stilizzazione attuale che lo rende più semplice, rimane sempre un’immagine di una realtà più che un segno convenzionale. Nessuno inoltre può diventare grande pittore se non è pure buon calligrafo. Tutti quelli che riescono nella calligrafia riescono anche nella pittura perché sono padroni nel pennello: la pennellata è il veicolo immediato dell’impulso creativo.

La pittura cinese, nelle sue prime manifestazioni, si esprime non tanto in forma autonoma, quanto ponendosi a servizio delle arti minori: nel verniciare utensili e oggetti decorativi di vario genere (vasi, statuette in ceramica o in terracotta, specchi e perfino strumenti musicali) o più spesso sculture connesse alla funzione funeraria.

Epoca arcaica
Possiamo considerare “La dama con drago e fenice”, scoperto a Changsha, nella provincia dello Hunan, come il più antico dipinto su seta conosciuto. Risale al tempo della Dinastia Zhou (1122-221 a.C.), durante il periodo Zhangguo (Periodo degli Stati Combattenti: 476-221 a.C.). L’esecuzione raffinata, il profilo marcato della dama indicano un’arte già matura e probabilmente abbastanza diffusa.

Dinastia Han (206 a.C.-220 d.C.)
Nessun dipinto appartenente a questo periodo si è salvato, o è venuto alla luce fino ad ora. I temi preferiti erano: i ritratti di personaggi illustri come l’imperatore, le sue donne, i generali, i funzionari civili, le scene di vita a corte. Questo perché la pittura aveva lo scopo di esaltare le virtù o le imprese di persone celebri.

Dinastie del Sud e del Nord (386-581)
In questi due secoli, la pittura cinese passa attraverso la fase più importante della sua evoluzione storica: vengono formulati e scritti in opere classiche la maggior parte dei canoni della pittura. Di questo periodo non esistono dipinti originali, ma abbiamo molte copie, riprodotte con fedeltà assoluta da artisti dell’epoca Tang, come imponevano i canoni della pittura ufficiale. Tra questi possiamo ricordare: “Gli ammonimenti dell’istitutrice alle dame di Palazzo” e “La dama del fiume Lo”. Le due opere sono di Gu Kaizhi (321-379), conosciuto dai critici d’arte come il “pittore dello spirito”, mentre Lu Danwei (440-500) era conosciuto come il “pittore dell’osso” e Zhang Sengyou (504-551) come il “pittore della carne”. Tre grandi maestri come tre modi diversi di riprodurre la realtà. Il primo sapeva far emergere il carattere, le qualità, l’intimo del soggetto riprodotto; il secondo metteva in evidenza le linee, con tratti decisi e robusti; il terzo valorizzava la bellezza fisica, esaltandone la sensualità delle forme.

Dinastia Sui (589-618)
Il Buddhismo in questo periodo ha una grande influenza sui pittori. È nei suoi templi che la pittura murale raggiunge lo splendore. È nei ritratti di Buddha e dei monaci che si esprimono i migliori pennelli del tempo, con ricchezza di mezzi e libertà di forme.

Tra i nomi celebri: Zhan Ziqian (580-620), abile nella pittura murale, nei paesaggi e nel dipingere cavalli; Cao Zongda, noto per i ritratti dal “drappeggio bagnato” tanto l’abito aderiva alle forme del corpo; i Wei Chi, padre e figlio, quest’ultimo famoso per la sua “pennellata robusta e tesa come la corda dell’arco”, è ricordato per i fiori. Sue sono anche “Le danzatrici” del rotolo Berenson.

Dinastia Tang (618-907)
Ventidue sovrani, nell’arco di quasi 300 anni, hanno dato alla Cina uno dei momenti culturalmente e artisticamente più fecondi, raggiungendo il periodo più felice con l’imperatore Xuan Zong (713-756). Basterebbe citare Wu Daozi detto il Grande, per la rivoluzione portata nel campo pittorico. Le sue figure umane sono ancora oggi un modello imitatissimo ma mai raggiunto. Purtroppo le sue pitture murali di Chang’an (Xi’an), famose per il tratto d’inchiostro deciso, sono andate distrutte. Ci rimangono copie antiche da cui è possibile ricavare la novità dei soggetti trattati e delle forme estetiche. Di importanza, in questo periodo, è la ritrattistica ufficiale, autentico documento della società del tempo, degli splendori e delle miserie, della cultura e della vacuità dei personaggi. Forse il più celebre maestro dell’epoca è Yan Liben, noto per i “Ritratti dei tredici imperatori”, dallo stile celebrativo.

Altri nomi famosi sono Han Gan (720-783), il maestro dei cavalli, e Bian Luan (attivo dal 786 all’802), il più celebre pittore di fiori, uccelli e animali.

Mentre i pittori di fiori e animali sono al culmine della fama e della perfezione tecnica, nasce, quasi per contrasto, la “Scuola del Nord”, che si esprime nel paesaggio. Li Suxun (651-716) e suo figlio Li Zhaodao (670-730) sono gli artisti che eccellono in questa pittura oscillante tra il realismo e l’immaginario con predominio di oro, blu e verde.

Periodo delle Cinque Dinastie (907-960)
Può sembrare strano ma, in Cina, i momenti migliori della pittura si sono attuati nei momenti politici peggiori. Nei periodi di divisione i pittori, isolati nelle zone più sicure, lontano dalle guerre e dalle risse, hanno saputo creare i capolavori che formano le pietre miliari della storia della pittura. Questo è avvenuto nel Periodo dei Regni Combattenti, al tempo delle Sei Dinastie e si rinnova in quello delle Cinque Dinastie (che per la precisione sono state ben quindici). In questo mezzo secolo, tra la fine dei Tang e l’inizio dei Song, la pittura entra nel suo periodo aureo e conosce alcuni tra i più grandi artisti di ogni tempo. A Chengdu, (capoluogo dell’attuale provincia del Sichuan), tra i 58 pittori che vi lavorano troviamo Guan Xiu e Shi Ke, maestri nella figura e nell’acquerello monocromo. A Nanjing, nella provincia del Jiangsu, Dong Yuan e Ju Ran perfezionano la tecnica del paesaggio. A Kaifeng (nell’attuale provincia dello Henan), troviamo altri paesaggisti tra cui Li Cheng, considerato il sommo in quest’arte, Jing Hao e Guan Tong, monaci pittori che con i loro paesaggi, a volte bizzarri, sono entrati nella leggenda.

Dinastia Song (960-1127) e l’Accademia Hanlin
L’imperatore Hui Zong (1082-1126), filosofo, archeologo, critico d’arte, pittore, raccoglie intorno a sé i migliori artisti del tempo rifondando l’Accademia Hanlin iniziata dai Tang. L’Accademia è anche conosciuta come “La foresta dei pennelli”. L’imperatore trascorre parte del suo tempo tra gli artisti, ammirando, suggerendo, criticando i lavori e premia i vincitori dei concorsi con la “cintura d’oro”, il massimo riconoscimento a cui un pittore può aspirare. Di Hui Zong ricordiamo il “Pappagallo a cinque colori” e il “Fringuello in mezzo al bambù”.

Li Longmian (1049-1100), con il suo dipinto “I poeti del Lago dell’Ovest” dà inizio a un tipo di pittura senza costrizioni, frutto di libera scelta sia nei soggetti come nello stile, nota con il nome di “Wenren hua” (pittura dei letterati). Questi mirano a fondere l’esigenza dello spirito con una tecnica raffinata e nello stesso tempo priva di fronzoli. Mi Fei (1051-1107), Su Shi (1036-1101) e Weng Tong (morto nel 1079), il primo con i paesaggi, gli altri due con i bambù, hanno prodotto alcune delle opere più belle di tutta la pittura cinese.

Con il ritiro della corte imperiale da Kaifeng a Hangzhou si ha una ripresa dell’attività dell’Accademia di Pittura che risente fortemente del clima dolce, della bellezza naturale di questa stupenda città, adagiata nel verde e illuminata dal luccicare delle acque del Lago dell’Ovest (Xihu). Appare in questo periodo Li Tang (1050-1130), ultimo grande paesaggista della dinastia Song del Nord, e inventore del metodo della “diagonale”. Con ciò si perfeziona nella descrizione solo la parte inferiore del dipinto, lasciando il resto solo accennato. Suo è anche l’uso dei tratti “a colpi d’ascia” (fu pi cun).

Dinastia Yuan (1279-1368)
È un’epoca in cui regna l’imitazione, tecnicamente perfetta ma priva di quell’alito creativo, personale, che rende viva la pittura. Si afferma la figura dell’artista completo: poeta. Calligrafo e pittore. I massimi pittori sono: Gao, Kegong e Wuzhen.

Dinastie Ming (1368-1644) e Qing (1644-1911)
Durante i Ming vengono favoriti i pittori tradizionalisti, fedeli seguaci dei canoni dell’Accademia Hanlin.
Hangzhou e Suzhou, due “paradisi in terra” per le bellezze naturali di cui dispongono, diventano il centro culturale del paese. Qui si producono opere che si ispirano al passato e che diventano modelli obbligati per il futuro. Qin Yin è forse il pittore più importante della dinastia Ming.

Il declino del genio creativo diventa ancora più evidente sotto i Qing. Non basta il contatto con la pittura occidentale, ricordiamo il Castiglione (1688-1768) noto ai cinesi come Lang Shening, per dare nuove spinte o nuove idee. Tutto rimane ancorato disperatamente al passato come se la pittura avesse già toccato il massimo della perfezione oltre il quale non è possibile andare. Per questo, per affermarsi occorre cercare di raggiungere la perfezione dei maestri. C’è la tecnica, manca lo spirito. Si sa usare il pennello ma non si riesce a rendere la vita delle cose dipinte. Un falso amore per l’arte spinge a riprodurre all’infinito le opere del passato con la massima precisione, senza molta originalità.

Dall’avvento della Repubblica a oggi (1949-…)
Dopo un inizio in cui prevale l’estetica marxista, si ricordino i “discorsi sull’arte” che Mao Zedong tenne a Yan’an nel 1942, con produzione di opere in cui prevale lo stile e la tecnica della pittura sovietica (masse, temi sociali), si ritorna al mondo tipico cinese: ad es. la pittura del contadini di Huxian (Shaanxi), di Pixian (Jiangsu), di Xinhui (Guangdong), i disegni degli operai di Yangquan (Shanxi), le sculture d’argilla di Huangpi (Hubei).

Oggi la pittura sembra ritrovare una vena rigogliosa, fatta di tecniche raffinate, di idee nuove, di scoperte classiche. Il clima di libertà d’espressione ha fatto fiorire nuovamente quest’arte nella pluralità dei soggetti, nella differenza degli stili, nella ricchezza individuale degli artisti.
Tra i maggiori pittori della Cina contemporanea vanno ricordati Qi Baishi, Xu Beihong, Pan Tianshou, Huang Binhong, Yan Meihua e Tian Shiguang.

Materiali e tecniche della pittura cinese
La pittura cinese assegna un ruolo importante al pennello che serve per tracciare la forma. Prove dell’uso del pennello nella pittura cinese esistono già al tempo della Dinastia Zhou (1122-770 a.C.). L’asta a cui sono fissati i peli o le setole, modellati a forma di goccia, è quasi sempre a forma di bambù.

Solitamente il pennello viene tenuto in posizione perpendicolare al foglio e i tratti vengono applicati con il movimento della spalla e del gomito. Dipingere muovendo il polso o le dita è considerato un errore.
Quelle stupende tavolette nere, riccamente decorate con coloratissimi soggetti, arabeschi d’oro o brani di calligrafia cinese, sono l’inchiostro. Se il pennello è lo strumento, l’inchiostro è il mezzo che permette di visualizzare le idee artistiche. L’inchiostro cinese è formato da fuliggine o nerofumo impastato con colla e aromatizzato con canfora o muschio. Una volta essiccato viene venduto sotto forma di tavolette o di bastoncini.
Tra gli ingredienti usati troviamo polvere di giada, di perle, di lacca grezza mescolati alla fuliggine di un pino particolare. Oggi si produce anche il tipo “oil-smoke” ricavato bruciando olio di semi del “Tung” (un albero cinese misto a resina di lacca. Il suo nero, quando non è diluito, è superiore a quello dell’inchiostro tradizionale. Per questo è preferito dai pittori contemporanei. Esistono anche tavolette d’inchiostro di diversi colori.

La pietra per l’inchiostro è una pietra particolare che viene accuratamente scelta, lavorata, scolpita. Pur nelle forme più varie, squadrate o arrotondate, è sempre formata da una duplice vaschetta che raccoglie nella parte più profonda l’acqua e nella parte più spaziosa la polvere ottenuta sfregando la tavoletta d’inchiostro sulla pietra. Il costo di queste pietre varia da poche migliaia di lire a diversi milioni ed esiste una precisa classificazione di essa a seconda delle venature, delle sfumature di colore che vanno dal grigio-piombo al nero, determinandone il valore commerciale. La tavoletta d’inchiostro sfregata su queste pietre lascia una polvere così fine che diluita nell’acqua non lascia traccia.
Il primo materiale impiegato nella pittura, ad eccezione di quello usato per decorazione nelle arti minori come vasellame, suppellettili, mobili, è stato certamente la seta. La parte più importante è la trama che deve essere finissima a tal punto che si fatica a distinguerla dalla carta. Trattata con appretto, amido, gesso e talvolta bollita in acqua e glucosio diventa lucida, brillante, accogliendo l’inchiostro o i colori senza lasciarli spandere, valorizzando al meglio le qualità cromatiche.

Mille anni prima che venisse introdotta in Europa, nel 123 a.C. da Cai Lun, sotto la dinastia Han, venne inventata la carta. Ben presto il nuovo prodotto sostituì la seta come supporto nella pittura sia per il basso costo che per la grande varietà di tipi in cui poteva essere fabbricato. Ma un altro particolare rese la carta sempre più popolare nell’ambito dei pittori: l’idoneità della sua superficie ad accogliere l’inchiostro e i colori.
Alla carta viene aggiunto uno strato di appretto, della colla per renderla consistente e meno intaccabile dall’umidità. La maggior parte dei dipinti viene fatta oggi su carta.

L’elemento essenziale della pittura cinese rimane il tratto del pennello che con tocchi rapidi, precisi, distribuisce l’inchiostro e il colore sul supporto. Anche nella pittura contemporanea, come in quella classica, i generi pittorici più trattati si possono ridurre a quattro:

Shan shui (monti e acque), paesaggi;
Ren wu (personaggi), figure umane in genere;
Hua niao (fiori e uccelli), soggetti che riguardano la natura viva: fiori, frutta, alberi, uccelli, insetti e animali di piccola mole;
Ling mao (uccelli e animali).
Il formato più diffuso è certamente il rotolo. Ne esistono due tipi:

Li Zhou o rotolo verticale che si appende alla parete;
Shou juan o rotolo orizzontale che si srotola da destra a sinistra.
Ogni rotolo è formato dal dipinto applicato su un supporto, robusto ma anche pieghevole, da una cornice solitamente in seta damascata che viene accuratamente scelta nel tono che più si adatta al dipinto e da due cilindri di legno laccato, fissati ai due lati più stretti di questo rettangolo. Oltre a tenere con il loro peso la tela tesa, i cilindri servono anche per arrotolare il dipinto prima di riporlo.

Diamo un esempio di montatura di un rotolo verticale di un dipinto su carta:

zhou gan: cilindro di legno per rotolare il dipinto;
tian: cielo, parte superiore;
su xiang: bordo che circonda per primo il dipinto di colore differente da quello del tian e del di;
yang ju: protezione del dipinto, in genere broccato di seta;
hua: dipinto;
di: terra, parte inferiore
Una delle cose che meravigliano l’occidentale è la presenza di numerosi sigilli, quei timbri in inchiostro rosso-lacca con ideogrammi, che si trovano nei dipinti cinesi classici o contemporanei. Prima del XII secolo, il sigillo come firma dell’opera non esisteva. La mania, o moda, iniziò con Hui Zong, ultimo imperatore della dinastia Song del Nord (960-1127) che pose la sua firma abbreviata, accompagnata dal suo sigillo su un suo quadro. Non molto tempo dopo gli artisti cominciarono ad apporre il loro sigillo sui dipinti, per attestare la loro autenticità e anche per dare un tocco di civetteria con il rosso-lacca del timbro. In seguito, il sigillo venne anche usato dai proprietari del dipinto, per indicare non solo la proprietà ma anche il loro apprezzamento sull’opera. Una specie di giudizio critico. Il colmo è stato toccato dall’imperatore Qianlong (1736-1796) che ha messo il suo sigillo su tutti i dipinti antichi in suo possesso.

Oggi i sigilli posti sul dipinto sono solitamente pochi: uno con il nome vero del pittore accompagnato da un altro sigillo con il nome d’arte. A volte questo nome d’arte è una frase tratta da un classico della letteratura. Lo stile del sigillo è importante perché denota la cultura, il carattere, la personalità dell’autore. Molti di questi sigilli sono incisi dagli stessi autori.

Un’altra caratteristica della pittura cinese è la presenza sul dipinto di un brano calligrafico. Questo uso data dalle dinastie Yuan e Ming. Da allora, molti pittori che erano anche letterati presero il vezzo di scrivere brani calligrafici sui loro dipinti. L’ideale perseguito da questi artisti era: “poetare dipingendo e dipingere poetando”. Gli scritti sui dipinti sono poesie, brani dell’artista, brani tratti da classici o semplici riflessioni dell’artista. Una cosa è certa, il dipinto e il brano calligrafico non sono due realtà separate o sovrapposte, ma fanno parte di un’opera unica, si completano a vicenda. L’uno rende più comprensibile l’altro. Spesso il brano calligrafico è l’anima del dipinto, dà la chiave di lettura dell’opera artistica, rivelando i sentimenti, le sensazioni, le idee dell’autore.

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