La cultura giapponese ha subito forti modifiche nel corso dei secoli, cambiando da quella originaria (risalente al periodo Jomon sviluppatasi verso il 10.000 a.C. fino al 300 a.C. e che prende il nome dalle tipiche decorazioni del vasellame dell’epoca. Società basata soprattutto sulla caccia,pesca e raccolta ponendo le basi per uno sviluppo agricolo che avverrà in seguito.), fino a quella contemporanea, che combina influenze asiatiche, europee e statunitensi.
Teatro:
Due sono le più famose forme teatrali giapponesi:
Arte:
L’arte tradizionale giapponese include le arti dell’ikebana, dell’origami, dell’ukiyo-e, delle bambole, delle lacche, e delle ceramiche; il teatro (bunraku, danza, kabuki, no e rakugo); le tradizioni (i giochi, la cerimonia del tè, il budo, l’architettura, i giardini, e le spade); I videogiochi giapponesi hanno iniziato ad avere grande successo a partire dagli anni ottanta, grazie soprattutto all’opera di Nintendo, che si è lanciata con successo in questo mercato, seguita poi da Sony, Sega e altre aziende negli anni 90.
Avendo preso in prestito dalle vicine culture strumenti, scale e stili, la musica giapponese è particolarmente eclettica. Molti strumenti musicali come il koto, vennero introdotti nel IX e X secolo. La musica occidentale venne introdotta nel secolo XIX, ed è ormai diventata parte integrante della cultura. Il Giappone del dopoguerra venne fortemente influenzato dalle musiche americane ed europee, dando vita alla cosiddetta J-Pop.
Con l’arrivo della civiltà occidentale non si può più parlare di un’arte autonoma, ma di un proprio e vigoroso inserimento nelle più moderne correnti artistiche, specie quelle architettoniche. Per quanto riguarda le arti tradizionali giapponesi, tutte permeate dalla filosofia zen, esse hanno costituito per secoli un unicum che non ha corrispondenza in occidente. Sono giunte fino a noi pressoché intatte e tuttora vive e vitali. Sono praticate in tutto il mondo da decine di migliaia di persone ed hanno costituito un mezzo essenziale della conoscenza all’estero della cultura giapponese. Tutte sono fondate sul principio della “via” (do) cioè su un cammino interiore da percorrere per giungere all’illuminazione.
Queste forme espressive costituiscono il nucleo più autentico della cultura giapponese ed è per questo che i giapponesi sono stati e sono molto legati. Elemento costante e importante di esse è la rappresentazione istantanea della bellezza, espressa, il più sinteticamente possibile, col segno, la forma o il gesto. Le più note sono: il cha no yu (o chado) la via del tè, l’ikebana (o kado) la via dei fiori, lo shodo la via della calligrafia, il ko-do la via dell’Incenso. Verso la fine degli anni ’60 un gruppo di artisti che ritenevano più importante l’aspetto effimero e non stabile di oggetti ed eventi posti in relazione allo spazio, all’uomo ed alla realtà formarono una corrente artistica chiamata Mono-Ha
Questo procedimento, conferisce all’infuso il caratteristico colore verde brillante e il sapore leggermente dolce, tanto da farne il tè più pregiato e quindi delle grandi occasioni, che i giapponesi bevono non più di una o due volte all’anno, gustandolo in tazze piccolissime come fosse un liquore.
La cerimonia del tè si svolge secondo stili diversi ed in forme diverse. A seconda delle stagioni cambia la collocazione del bollitore (kama): in autunno e inverno posto in una buca di forma quadrata , ricavata in una parte del pavimento chiamato tatami; in primavera ed estate in un braciere (furo) appoggiato sul tatami. La forma più complessa e lunga (chaji) consiste in un pasto in stile Kaiseki, nel servizio di tè denso (koicha) e in quello di tè leggero (usucha). In tutti i casi si usa, in varie quantità, il matcha, tè verde polverizzato, che viene mescolato all’acqua calda con l’apposito frullino di bambù (chasen). Quindi la bevanda che ne risulta non è un infusione ma una sospensione, cioè la polvere di tè viene consumata insieme all’acqua. Per questo motivo e per il fatto che il matcha viene prodotto utilizzando germogli terminali della pianta, la bevanda ha un effetto notevolmente eccitante. Infatti veniva utilizzata, e ancora lo è, dai monaci zen, per rimanere svegli durante le preghiere. Il tè leggero usucha, a seguito dello sbattimento dell’acqua col frullino durante la preparazione, si ricopre di una sottile schiuma di una tonalità particolarmente piacevole e che si intona coi colori della tazza.
La cerimonia del tè è qualcosa che va molto al di là della semplice preparazione di una bevanda. È forse l’espressione più pura dell’estetica zen, tanto che un adagio giapponese dice: cha zen ichimi cioè tè e zen un unico sapore. La stanza del tè è il luogo fisico dove si svolge la cerimonia ma è anche luogo mentale. Spogliata da ogni possibile orpello, con pareti grezze e praticamente priva di alcun contenuto che non fosse di pensiero. I personaggi che si muovono in essa sono usciti temporaneamente dal mondo e dai suoi affanni per contemplare brevemente il vuoto, al quale deve corrispondere il vuoto mentale. Nella stanza tutti dovevano entrare disarmati e tutti erano uguali, tutti si dovevano inginocchiare e tutti dovevano “subire” le stesse regole. Anche il mondo cinematografico ha reso omaggio a questa importante tradizione:
Uno dei film più interessanti sull’argomento è Morte di un maestro del tè (1989), Leone d’argento alla Mostra del Cinema di Venezia, del regista Kei Kumai, con Toshiro Mifune, Eiji Okuda, Kinnosuke Yorozuya, Go Kato, Shinsuke Ashida. Il film rende in modo perfetto l’atmosfera del mondo del tè e narra la vicenda del maestro Rikyu e le problematiche abbastanza misteriose che lo condussero al suicidio nel 1591.
Ikebana (??? o ????) Arte giapponese della disposizione dei fiori recisi, anticamente conosciuta come Kado (?? o ??); la traduzione letterale della parola Ikebana è “fiori viventi”, ma l’arte dei fiori può essere anche indicata appunto come Kado, cioè “via dei fiori”, intendendo cammino di elevazione spirituale secondo i principi dello zen. Ha avuto grande successo internazionale per la sua essenza incentrata nell’armonia, nel colore, nel ritmo nonché nell’eleganza della sua semplicità. L’ikebana, arte molto antica, è ampiamente pratica oggigiorno in Giappone, così come nel resto del mondo ed ha le sue origini in Oriente (India, Cina) ma solo nel complesso artistico e religioso del Giappone ha trovato il terreno fertile per il suo sviluppo trasformandosi, da iniziale offerta agli dei, in una multiforme espressione artistica, frutto e riflesso della cultura del momento. Le sue origini risalgono al VI secolo d.C. e cioè al periodo in cui il buddismo attraverso la Cina e la Corea penetra nell’arcipelago nipponico introducendo l’usanza delle offerte floreali votive. In origine l’arte dei fiori era praticata solamente dai nobili e dai monaci buddisti, che rappresentavano le classi elevate del Giappone, e solo molto più tardi si diffuse in tutti i ceti diventando popolare con il nome di Ikebana.
Anche le tecniche della scultura giapponese subirono l’influenza dalle tradizioni buddiste e shintoiste. Lacca, decorazioni in oro e colori accesi sono le tecniche tradizionali più comuni. Tra i materiali più in uso, il legno, il bronzo, la pietra e la ceramica.
Intorno al 550 a.C. l’attuale Azerbaijan fu conquistato dagli Achemenidi e successivamente passò sotto il controllo di Alessandro Magno, dei Seleucidi, di Roma, dei Greci e dei Sasanidi. Nel IV secolo il cristianesimo venne dichiarato ufficialmente religione di stato. Lo stato venne distrutto e conquistato degli Arabi che costrinsero gli albanesi caucasici alla conversione all’Islam.
Arti marziali cinesi (è una denominazione che si riferisce alla totalità dei vari stili di arti marziali nati in Cina. Le arti marziali cinesi, nel loro insieme, hanno ricevuto molte denominazioni diverse, a seconda del luogo e del periodo in cui si sono diffuse. Quando, negli anni trenta, le arti marziali cinesi e giapponesi iniziarono […]