Eat, Surf, Skate and Shoot

di Luna Bogoni

Il racconto del giro del mondo di un gruppo di amici con la passione per il surf, lo skate, le foto e i viaggi

Eravamo pronti!

Ritrovo a Milano, sulla pensilina della stazione, infreddoliti dall’aria mattutina, ma elettrici per quello che ci aspettava.

Sudato! Quel viaggio era stato sudato: chi in cucina a preparare banchetti di neo-sposi, chi sulle spiagge o nelle piscine sparse per l’Italia a vegliare su “bagnanti-vacanzieri” che si mangiano uova sode e porzioni di pasticcio alla bolognese sotto l’ombrellone, chi a mantenere giardini comunali o verde pubblico, chi a strappare biglietti al cinema e vendere pop-corn grazie ad un contratto da “tuttofare stagionale” iper sfruttato!

Tutto questo però era servito per avere il denaro necessario, e l’importante era essere arrivati a quella fatidica mattina, su quella pensilina e con quei biglietti in tasca. Il countdown era terminato! E quella mattina iniziava il super sognato tour!!!

Probabilmente agli occhi dei lavoratori pendolari e mattinieri, che affollavano il binario, saremmo sembrati dei bambinoni troppo cresciuti, ognuno con il loro giocattolo: chi con la tavola da surf, chi con lo skateboard, chi filmava e fotografava tutti quei visi che non smettevano di ridere!

Ebbene si, mi spiace per loro, ma quella mattina avevamo davvero il sole in fronte! Sorrisi così, a mille denti, probabilmente non si vedevano spesso, dato che ci osservavano come se fossimo  stati dei marziani. Non ho mai capito se erano davvero infastiditi dalla formula “risata seguita da battuta, ri-seguita da risata”, o se fossero proprio quelle nostre “faccine piene di sorrisi”, che non erano emoticon lampeggianti sui loro schermi di cellulari, ma erano in carne ed ossa di fronte a loro, in quella mattina che per loro era uguale a mille altre mattine!

Bambinoni o meno”chissenefrega”, rinunciamo al superfluo, abbiamo casette “vintage” o  meglio dette “fossile”, che bastano a darci un tetto sulla testa. Abbiamo imparato a vivere con poco, ma non perché puntiamo a diventare degli eremiti, e non fraintendetemi, non intendo dire che nessuno di noi ha un computer o uno smartphone o altro, solo che crediamo ad una tecnologia dove sono più importanti i contenuti e non la forma, nel senso che è inutile avere una famosa marca di telefono per essere sempre connesso con un altrettanto famoso social network se poi devi scrivere solo cose inutili, come quante volte temperi una matita…

Abbiamo capito che quel poco ci basta, e l’unica cosa alla quale siamo fedeli e non vogliamo mettere da parte sono i nostri sogni, e uno dei nostri sogni è viaggiare.

Perché viaggiare ci completa, ci insegna, ci lascia più di mille corsi di studio, e ci fa bene, meglio di mille medicine!


“Ta-tan ta-tan, ta-tan ta-tan…” Eccolo! Il treno era arrivato al binario! Zaini in spalla, trolley quad (4 ruote), tutti avevano quello che ritenevano più comodo per viaggiare, l’importante era non dimenticare di caricare le tavole da surf, “incelofanate” con metri e metri di “Pluriball” per evitare ammaccature, panetti di paraffina e  creme solari water resistant (altrimenti sai che bruciore quando la crema si scioglie in acqua e ti cola negli occhi!), infilati in ogni micro spazio libero! Non mancavano zaini “iperimbottiti” per custodire attrezzature fotografiche, che solo “vendendo un rene” ti sei potuto permettere.

Eravamo pronti, e questi erano gli strumenti che avremmo utilizzato durante il nostro lungo viaggio per conoscere le persone ed i luoghi intorno a noi: lenti di obiettivi lucidate a puntino, tavole da skate appese agli zaini, complete di ruote e cuscinetti montati, si sa mai che scendendo ad una stazione sconosciuta, ci sia li vicino uno spot pronto da “ollare” (olly, è una manovra, in gergo trick, da effettuare con la tavola), tavole da surf di tutte le misure, piccole, strette, larghe o sottili, con una, tre, o cinque pinnette.

Durante quel viaggio non volevamo perderci nulla, volevamo avvicinarci ai luoghi ed alle popolazioni che avremmo visitato ed incontrato, entrando in contatto “in tutti i sensi e con tutti i sensi” che avevamo a disposizione!

Parlando dei sensi salta in mente il gusto e quindi il cibo…da quella mattina avevamo smesso di essere italiani, cominciavamo ad essere cittadini del mondo, e quindi “ciao pasta!”

Ci aspettavano da provare: le alghe e  lo scorpione fritto in Cina, gli insetti e i ragni in Cambogia, il ramen in Giappone, il toddy in Sri Lanka ecc…

La pasta l’avremmo “rivista” solo una volta tornati in Italia!

Avete presente il protagonista di quel programma televisivo che gira il mondo e assaggia tutti i piatti più strani?! Ecco questo era quello che volevamo fare anche noi! Non immaginate quanto completi un viaggio, il fatto di mangiare come la gente locale, e anche “mangiare fisicamente” nel loro modo, mi spiego: mangiano con le mani, bene provaci pure te, e sentirai la relazione tra il gusto e il calore del cibo, consumato come qualcosa di magico che va a nutrire il tuo corpo, mangiano con le bacchette, perfetto tenta di destreggiarti con il riso ed i bastoncini! Il cibo, sia le materie prime che vengono consumate in un luogo sia la modalità di consumo di esso, ti relazionano al luogo in cui sei ed insieme ad altri fattori ti faranno vivere un’esperienza a 360 gradi dei luoghi che visiterai!

Molto segretamente vi confesso che sognavo di imbattermi e poter assaggiare, uno di quei cofanetti che vedevo nei cartoni animati giapponesi, quelle valigette che i protagonisti aprivano all’ ora di pranzo e dentro c’erano polpettine di riso fumanti, una specie di stufato, una pallina bianca con un rettangolo nero che l’avvolgeva…sembrava tutto buonissimo e mi auguravo esistessero davvero!

C’è chi si era ricordato i dizionari, chi si era scaricato app per frasari che sicuramente ci avrebbero aiutato a capire e farci capire da persone che avremmo incontrato sulla nostra strada, e quindi per non essere un semplice gruppo di amici in vacanza che finiscono per isolarsi da quello che hanno intorno, perdendo tutto quello che un posto nuovo può offrirti… Proprio no!

Noi volevamo abbattere le problematiche della comunicazione, tanto alla fine è solo vergogna. Non parlare perché non si conosce una lingua, è solo questione di vergogna, invece bisogna lanciarsi in una conversazione e veramente vi si apre un mondo e un modo diverso di viaggiare!

Ma questo non era un nostro problema, pensate che tra di noi c’era anche un veronese ed un veneziano che sostenevano di poter comunicare benissimo in dialetto veneto con i brasiliani, perché tantissimi veneti emigrarono in quella terra…e fu davvero così!


Asia

Passammo per l’India e scendemmo fino in Sri Lanka, la lacrima dell’India, chiamata così per la sua forma.

Lo Sri Lanka ci iniziò allo yoga, che sperimentammo in un rudere di albergo sulla costa sud dell’isola. Non avresti dato un centesimo vedendo quel palazzo in rovina, eppure con l’oceano di fronte e l’alba che nasceva ci sentivamo potenti!

Capimmo che lo yoga non faceva altro che sprigionare l’energia che il corpo custodiva, quel tipo di esercizi ti attivavano più di mille caffè bevuti di colpo.

Ad Hikkaduwa, in un rotti shop, una sera incontrammo un’uomo scozzese che ci introdusse ad un progetto per aiutare delle famiglie povere che abitavano nella foresta. Partivamo la mattina, prima che il sole si alzasse, con delle biciclette indiane pesantissime, e andavamo ad aiutare queste persone che abitavano nell’entroterra. Il nostro compito era aiutare a risanare le case, e noi ci rendevamo utili come potevamo. Queste famiglie possedevano davvero poco, nella loro cucina esisteva un rudimentale caminetto nel quale cucinavano bruciando pezzi di stelo di foglia di palma. L’acqua corrente non esisteva e la stoccavano in taniche, ma comunque pur avendo poco, ci offrivano i loro piatti piccantissimi ma dai sapori magici che non dimenticheremo mai.

Prima del tramonto si tornava a casa, e passando in bicicletta attraverso il paese potevi sentire l’aria profumata d’incenso. Quel profumo, quel gesto che tutti compivano a quell’ora era diventato naturale e importante anche per noi, era un momento del giorno in cui soppesavi la tua vita, quello che avevi fatto nella giornata e godevi delle cose belle che avevi vissuto e visto, e se avevi fatto qualche errore pensavi ad un modo per rimediare.

Lasciato lo Sri Lanka, andammo alla ricerca attraverso la Cina, il Vietnam, il Giappone, etc. di quello che avevamo letto e visto nei film di alcuni nostri miti come Banana Yoshimoto, Kitano, Terzani, Kurosawa, etc..

Li cercavamo tra le bancarelle dei mercati e i loro mille profumi e cose mai viste come frutta e verdura, pesci variopinti, granchi giganti, ecc… , tra la gente seduta a pranzare nei locali tipici che con estrema abilità riuscivano a mangiare con le bacchette della pasta simile ai nostri tagliolini, sulle scalinate infinite che salivano a templi maestosi e dall’atmosfera piena di mistero. Dappertutto trovavamo tracce dei loro scritti o delle loro pellicole, osservando segni di passato, presente e futuro dei luoghi che visitavamo e delle persone che conoscevamo.

Viaggiando stavamo capendo un’altra cosa importantissima: il rapporto dell’uomo con la natura.

Il rapporto che ci lega come esseri umani con la terra, con la natura di tutti i posti è fortissimo, e capisci che facciamo parte di tutto il mondo. Quando roviniamo o minacciamo questo rapporto, nessuno di noi ne esce vincitore, ma state sicuri che siamo i perdenti. Badate bene, non parlo di religiosità, parlo di una cosa ben più ampia, parlo dello spirito del mondo che è dentro di noi, e che ci collega al mondo inteso come natura. Ci capitò di assistere ad un tributo tradizionale in Thailandia, il Loi Krathong. Per ringraziare la dea dell’acqua, i canali, i fiumi i laghi si illuminano di piccole corone di foglie di banano intrecciate, che trasportano candele e incenso. Da quella sera capimmo quanto fossimo un tutt’uno con quello che ci circonda e viviamo.


Australia

Ci dirigemmo verso l’Australia, perché volevamo vedere con i nostri occhi il paese dal quale nessun italiano tornava più una volta andato.

Ci spostammo per il paese con dei van in “stato terminale”, che avevamo acquistato per pochissimi soldi, ma che fortunatamente non ci abbandonarono fino al termine “dell’avventura australiana”.

Partimmo dalla Gold Coast del Queensland, chilometri e chilometri di spiagge che davvero sembrano dorate, e dove il surf ormai è uno sport normale, come per noi il calcio.

Invidia! Chiunque e di qualunque età lo pratica! Scendemmo per tutta la costa, girando tutte le città che incontravamo in cerca di architettura urbana da “skateare”.

Andammo a vivere per qualche tempo in quella città assurda che è Coober pedy, la città tunnel, o la capitale dell’opale. Quaranta gradi di giorno, ed uno sbalzo termico fino a raggiungere gli zero gradi la notte.

Anche nella città sotterranea, che sembrava una città su Marte, trovammo uno skatepark sotterraneo e conoscemmo degli skaters locali che ci guidarono alla scoperta della loro strana cittadina.

Purtroppo le persone che vivevano a Coober pedy, vivevano una vita isolata rispetto al resto del continente australiano, e manifestavano una certa avversità verso le popolazioni aborigene. Parlando con molti di loro ci rendemmo conto che i ragazzi ripetevano lunghe tiritere che avevano sentito dai nonni e dai genitori, che non sono sempre persone sagge solo perché hanno “collezionato molti punti sulla tessera della vecchiaia”.

La cosa che percepivi, era che fortunatamente un cambiamento era in atto. Le nuove generazioni non erano più così isolate dal resto del continente, e quindi le mentalità stavano cambiando. Lasciando quello scenario post nucleare, ci siamo augurati che il rapporto tra i “nuovi australiani” e gli aborigeni (un razzismo che al giorno d’oggi è impensabile esista, ma che purtroppo esiste anche da noi per altre etnie), avrebbe finito per essere dimenticato dalle nuove generazioni.

Proseguimmo nella regione nord del Kimberly, sempre con i nostri fidati van, e ci mettemmo a fare del “punk trekking”, ossia completamente senza attrezzatura, chi addirittura con solo le infradito ai piedi, sulle Cockburn range.

Arrampicarsi su quelle rocce rosse e vedere il panorama mozzafiato non aveva prezzo!

A Ningaloo reef, andammo a nuotare nella barriera corallina, con tartarughe, pesci variopinti, delfini ed altri bestioni marini che sinceramente un po’ di paura ci mettevano , ma poi capivi che l’oceano non è un qualcosa di cattivo, e che le forme di vita che popolano le acque non sono pronte a sbranarti,

popolano semplicemente quell’habitat, siamo noi esserei umani che ci inseriamo dappertutto. Non è che lo squalo è li pronto a rosicchiarci se entriamo in acqua!

Salutammo il continente australiano e partimmo per la temuta America del sud. Temuta perché a volte senti parlare che in Argentina, in Brasile, in Colombia, capitano cose spiacevoli, ma capimmo  che esistevano più persone buone, che persone cattive. Ed e’ così in tutto il mondo, fidatevi!


Sud America

Coloro che incontrammo in Cile, in Argentina, in Brasile ci scaldavano il cuore. Le loro feste il loro calore, spesso ti raccontavano di un loro parente che era emigrato dall’Italia, e nel giro di poco ti trovavi seduto su un divano con un qualche bambino in braccio, che improvvisamente era divenuto un tuo nipote alla lontana.

Le feste che organizzavano, preparando capretti allo spiedo, seppellendoli in buche nella sabbia piene di braci ardenti e la musica che veniva suonata con strumenti coloratissimi, ti facevano davvero sorridere il cuore.

Arrivati a quel punto del nostro viaggio ci sentivamo davvero parte di una famiglia gigantesca, le popolazioni del mondo erano la nostra famiglia, c’era sempre, da qualsiasi parte una persona pronta ad aiutarti, e se avevi paura del prossimo ti sbagliavi, perché anche chi non aveva nulla era pronto a darti tutto.

In Brasile, non per sentirci a posto con la coscienza, ma perché sapevamo fare quello, e loro lo chiesero, insegnammo ai bambini delle favelas brasiliane a skateare. Per qualche mese organizzammo una skate school, collaborando con degli educatori. Costruimmo anche un piccolo skatepark D.I.Y. (fatto a mano da noi) e ancora oggi andiamo appena possiamo, dividendoci il tempo ed inserendo altri amici che hanno voglia di insegnare a questi bambini.

Alla fine del viaggio avevamo visto lo spot perfetto con l’onda perfetta, avevamo scovato architetture perfette e pronte per essere usate per qualche tricks con la tavola da skate, avevamo atteso e  scattato una fotografia all’ora perfetta, cogliendo la luce perfetta, i particolari, i giochi di luce, i riflessi perfetti.

Avevamo vissuto i sogni che volevamo vivere,  avevamo condiviso tutto questo l’uno con l’altro, e questo aveva trasformato noi stessi in qualcosa di più evoluto, avevamo nutrito una parte della nostra anima che mai avevamo esplorato.

Il cibo, i sapori, gli odori, le immagini, i suoni, tutto aveva lasciato un segno indelebile nelle nostre teste, nei nostri pensieri e nel nostro cuore. Tutto questo ci aveva davvero trasformato in cittadini del mondo.

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