di Cristina Munarini
Il vento ancora porta l’eco lontano delle sue parole, di spezie e sabbia rovente, ricordi infilati come perle in una collana che conservo come il mio amuleto più prezioso, un talismano che non perderà mai valore.
La polvere depositata sul cuore dagli anni si solleva in un vortice, e lo seguo nei meandri dei Phuket, avvinta e soggiogata dalle sue spire, e mi perdo negli occhi incastonati nei volti sereni delle donne, come immuni agli assedi del destino, e nei damaschi delle stoffe, frutto della sapienza millenaria di mani che come farfalle si muovono con ipnotica velocità, negli aromi dei cesti delle spezie ocra rosse gialle, e nell’esplosione di colori di fiori multiformi e variopinti, un arcobaleno di colori sulla tavolozza di un pittore.
Mi conduce verso il tempio sacro ad Ayutthaya, l’antico wat Phu Khao Thong in stile khmer, le torri istoriate sospese nel cielo, cesellate in un disegno imperscrutabile e colate dall’alto come sabbia fluida da una demiurgica divinità. I templi sacri, dal loro vigile appostamento, sono vecchi consolatori che arginano l’angoscia emulsionata di una società di cui si è smarrito il senso, pronti a tuonare moniti nel caso di rinnovate umane follie.
La nostra natura terrena distoglie la nostra attenzione dai templi e indirizza il viaggio al Tempio del Buddha sdraiato, a Bangkok, con aree dedicate al massaggio rituale, con locali separati per donne e uomini, in cui lingue di fumo trasparenti ondeggiano nell’aria, e tra aromi remoti, in stupita dissolvenza si svelano arredi di squisita fattura, e ci lasciamo andare a mani sapienti, cullandoci tra le braccia confortanti di pensieri ameni. Fuori dal tempio, la notte si lascia cadere all’improvviso, misurando per la prima volta le dimensioni della mia imprudenza. Non conosco quest’uomo, e nessuno sa dove alloggio, eppure decido di farmi guidare dal mio istinto.
Ceniamo nell’incanto blu della quiete notturna di orchidee dischiuse, cullata dal lento sciabordio dei flutti, carezze concesse dal mare come un amante voluttuoso alle sponde, che per compiacere l’amato, dopo qualche timido diniego lezioso, a loro volta si adornano di conchiglie madreperlate e argentei bagliori. I gelsomini sul far della sera saturano l’aria di desideri.
Cominciamo con una zuppa locale, formata dal succo del mare , a cui il fuoco ha consegnato il suo tesoro, riscaldando le essenze della Thailandia e arrivano, sposi novelli, i sapori del mare e della terra facendoci toccare il cielo.
Sento il desiderio che brucia sulla mia pelle fresca.
Mantengo lo sguardo fisso sull’ultima ostrica, turgida, palpitante, bagnata di latte oceanico, sintesi del mio delirio.
Si sono scatenate forze primitive: tamburi e ansimi, un soffio di tuberose, manghi maturi si offrono languidamente agli appetiti di un calabrone giallo, pronti a lanciarsi su quelle polpe lascive.
Mi versa una crema dolce come una rosa densa, e sono madida di sudore, nonostante l’aria fresca, i sensi esaltati.
Infine, mi offre un pasticcino, e rompo l’ultima resistenza afferrandolo con un morso voluttuoso…….
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