Il viaggio di Lucia

di Lucia Falaschini

Viaggiare e scorrere come acqua per i mari e i fiumi dell’India, della Cambogia, del Vietnam, della Cina, del Giappone, dell’Australia e del Sudamerica

Il mio viaggio scorre lento, perpetuo, è un viaggio senza fine che si rinnova continuamente…

Himalaya

Inizia dalle più alte vette dell’Himalaya.
Quassù dove la vita non vive, dove il respiro si fa affannoso, dove la mente e i ricordi si congelano in un abbraccio. Il mio viaggio inizia qui. Nel bianco accecante del freddo intenso dove un tetto di nuvole pascola in un cielo senza confini.
Inizio a scendere, con calma, senza fretta, ma poi la mia discesa prende forza, sempre di più. Qualcuno mi accompagnerà in questo lungo vagare, qualcun altro prenderà altre strade, seguirà altri viaggi.
Ora sono a valle. Attraverso immensi tappeti verdi i cui ciuffi d’erba si inchinano al mio passaggio quasi a volermi salutare. Mi osservano, mi venerano, mi amano. Sono lussureggianti, anche loro sono la vita. I loro chicchi di riso vengono mondati da mani tenaci ma delicate, lavoro onesto e pesante, gioia e dolore. Tanto riso in terra quanto riso in faccia ad un popolo che dispensa generosità dividendo i frutti della sua magnifica terra: il Nepal.
Dalle vallate lontane giungono i suoni dei maggaa khin, i tipici tamburi nepalesi, che rimbalzano contro le pareti delle immense montagne impossibili da scavalcare.


India

Il mio viaggio prosegue, ora sono in India.
L’India.
Mi ritrovo nelle vene di questo paese che elemosina rispetto : il Gange. Lavo corpi che si immergono in queste acque per togliere via ogni granello di impurità. Corpi di bambini sorridenti ad una vita che forse li punirà, arcobaleni di donne avvolte nei loro sari; sento il tintinnio dei gioielli che escono dall’acqua e si immergono di nuovo, anche loro grati a questo fiume a cui si deve tutto.
Sento i segni lasciati dal tempo nei piedi degli uomini, sento le ferite, le cicatrici, le rughe di una vita. Quei corpi che il fiume è pronto a riaccogliere quando saranno ormai solo polvere, terra, legna bruciata che si mescolerà con i fiori e le offerte lasciate in balia della corrente. Tutto si unisce in un’unica danza di rinascita, di morte, di fatalità.
I colori abbagliano in questa terra. Sembrano piovuti dal cielo a tingere di speranza ogni cosa : le vesti, le spezie, i camion che corrono lungo la strada.
E il Taj Mahal nel suo bianco immacolato li riflette tutti.
Affogo nell’ odore dei Frangipani che si mescola a quello delle pire funerarie.
Lascio l’India. Non uno stato ma uno stato d’animo.


Thailandia

La mia di strada è ancora lunga…mi tuffo in mare e dopo tanto navigare giungo in Thailandia. Qui mi lascio trasportare dai canali della città; solco il Chao Phraya che con il suo corso sinuoso sembra accogliere in un abbraccio la maestosità del Wat Arun che osa specchiarsi nelle sue acque. Ogni rilievo si riflette sulle sponde riproducendone una fedele cartolina.
Intorno il fragore dei clacson e il vociare dei mercati, i wok sfrigolanti di cibo e banchetti che si susseguono ininterrottamente dal giorno alla notte in una grande festa dei sapori.
I rilievi dei templi si incendiano al tramonto in un’unica sfera di fuoco mentre le guglie dorate del Palazzo Reale sembrano protendersi verso il cielo come a salutare il giorno che se ne va.
Risalgo il fiume. Accarezzo le mani di giovani donne che con delicatezza lavano i propri figli sulle sponde fangose. Lambisco vecchie pentole accatastate sugli argini in attesa di essere lavate.
Attraverso antiche capitali con i loro Buddha da secoli sdraiati o seduti nelle loro posizioni rituali; la vegetazione a tratti mi sovrasta e io che pure sono così potente quando voglio, soccombo per una volta al mare di verde che mi circonda.
Ritrovo la mia strada una volta raggiunto il delta del Mekong. Ora posso mischiarmi alle acque limacciose che si danno appuntamento nel Triangolo d’Oro, crocevia di etnie di ogni origine e tempo. Donne cariche dei loro fardelli, preziose merci di scambio, uomini giunti dai villaggi più reconditi per barattare un altro giorno di sopravvivenza. Uno scacchiere multietnico che ogni giorno allestisce il sipario per un nuovo spettacolo.

Cambogia

La Cambogia è sulla mia strada, l’antico regno Khmer. Qui la natura ha fatto tesoro di quello che le è stato affidato. Ha custodito con gelosa maternità una meraviglia architettonica : Angor Wat. Ora la offre in prestito agli sguardi increduli dei turisti ma nulla è pronta a regalare.
Oggi l’antica città è riemersa dal suo torpore per farsi ammirare e per stupire, mentre le radici sembrano trattenerla al suo posto quasi avessero paura che voglia fuggire.
Le facce dei Buddha scolpiti nella roccia invitano ad entrare con i loro volti traboccanti di calma, di pace, di serenità. Neanche gli orrori susseguitisi nel tempo sono riusciti a far perdere loro la speranza. Nemmeno alle Apsara che continuano a danzare sui muri.
L’alba arriva con la sua bruma : la nebbia si mescola con i fumi degli incensi appena accesi nei tempi o per la strada. Le volute di fumo grigio lasciano intravedere il rosa acceso dei fiori di loto i cui petali cadendo dipingono a tratti le città di macchie di colore.


Vietnam

E’ ora di rimettersi in viaggio. Prendo la via del mare e costeggio la baia del Vietnam.
Ha Long spunta come per un gioco di prestigio dalla foschia mattutina. Ogni roccia sembra attendere il suo artista che con lo scalpello ne farà una figura mitologica o un essere alato pronto a volare via.
Per un attimo mi ritrovo nel turbinio delle reti dei pescatori cariche dei loro bottini d’argento. Ma la mia prigionia dura un attimo. Sono di nuovo nel mare aperto.


Cina

Una nuova terra mi sta aspettano, un mondo in un mondo, mille popoli in un unico popolo: la Cina.
In questo immenso paese ci sono vie che mi sono precluse, strade sbarrate alla mia volontà, terre che raramente ascoltano i passi dell’uomo. Sono i grandi deserti che pure hanno condotto carovane lungo vie leggendarie attraverso l’ignoto.
Non è facile decidere dove andare, ogni lembo di terra mi chiama. Le smisurate città sfavillanti di luci e le campagne in attesa di una nuova rivoluzione. Forse la strada giusta è quella che indicano i mille aquiloni che volano in cielo o le lanterne rosse che indicano la via d’uscita nel labirinto dei pochi hutong rimasti. Non posso sfuggire a questa umanità immensa: un popolo che investe con la stessa frenesia con cui Il tempo scorre; i secondi sembrano ticchettare veloci come le bacchette che raccolgono i bocconi di cibo.
Ma io trovo il mio lembo di pace nel fiume Li che scorre ancora lento protetto dai suoi fatati picchi carsici formatisi milioni di anni fa. Case delle fate che si rispecchiano in me; sento i motori lenti delle imbarcazioni che si fermano una accanto all’altra per scambiarsi il pranzo appena pescato.
Una manna per gli artisti che decidono di poggiare qui le loro tele. Servirebbero i dodicimila occhi dell’esercito per catturare ogni scorcio che offre il lungo fiume.


Giappone

Sono di nuovo in mare, il mio mondo. Il Giappone mi attende al di là dei flutti. Mi accoglie nella piena esplosione della fioritura del ciliegio. Come le farfalle destinate a vivere per pochi giorni, poche ore, anche la fioritura dei Sakura colpiscono per la brevità della loro esistenza, per la loro fragile bellezza destinata a estasiare solo per poco tempo. A ricordare che le cose belle vanno colte nell’attimo frugale in cui si presentano.
Terra di vulcani, mi rifugio in un Olsen per riscaldare il mio lungo viaggio. Il vapore cela alla mia vista la natura circostante; nel torpore dei sensi posso immaginare le giovani Maiko che intrattengono gli ospiti nelle sale da the di Kyoto, con le loro movenze soavi e al suono dello Shamisen.
Di nuovo in mare. Ora mi attendono acque fredde e poco invitanti dove mi lascio trasportare per giorni, settimane intere. Le acque dapprima fredde e giallognole, assumono sempre più il colore del blu intenso. Blue China. Anche se la Cina è ormai lontana. E dall’azzurro carico diventano improvvisamente turchesi e poi sembrano addirittura scomparire, se non fossero per i raggi del sole che si rispecchiano sulla loro superficie.
Giungo ai margini di un gruppo di perle che sembrano essersi sfilate da una collana disfatta e cadute a caso nel mare. Ogni preziosa sfera è circondata da una barriera corallina infinita che la protegge giorno e notte da invisibili invasori. Solo i pesci, alle Fiji, sono i benvenuti, nelle loro mute super colorate. Un acquario incommensurabile che non richiede nessuna manutenzione, se non quella di non disturbare.
Danzo tra coralli di ogni forma e dimensione, nuoto con pesci ancora estranei alla scienza marina. Qui potrei fermarmi per sempre ma l’Australia è sulla mia strada.


Australia

Lambisco le coste dove i delfini si rincorrono o rincorrono le barche cariche di bambini entusiasti. Scorgo da lontano le sagome dei Dodici Apostoli dove le onde si infrangono a conclusione del loro lungo viaggio.
Anche dal mare riesco a sentire la forza lontana dell’Outback; ad immaginare il monolito che si infiamma al tramonto in un appuntamento che si ripete da milioni di anni. E a sentire, portate dal vento, le celebrazioni di ringraziamento rivolte alla grande montagna dagli aborigeni del luogo.
Ora mi aspetta un lungo navigare. Per giorni e per notti intere, senza sosta. Intorno a me la solitudine viva dell’oceano.
La fine del mondo mi si annuncia in un’alba senza nuvole. Sebbene sia la fine per me è un inizio da cui partire per risalire un intero continente.
Le grida dei pinguini mi accompagnano insieme alle buffe movenze dei trichechi. Uccelli di ogni specie schiamazzano rincorrendosi in turbinii di piume e ali.
Risalgo coste dove l’unica presenza è quella della natura e lambisco montagne di ghiaccio dai colori accecanti. Tutta la tavolozza dei blu e dei verdi si mescolano e si riflettono nelle immense lastre di vetro.


Sudamerica

Ingannevole nome Terra del Fuoco, per un luogo dove il freddo e il gelo sono padroni incontrastati di vasti territori. Un boato in lontananza fa tremare per un attimo la terra, ma nessuno sembra accorgersene qui. Un altro pezzo del Perito Moreno è pronto a rimescolarsi con le acque sottostanti.
Taglio l’Argentina attraversandone l’anima oscura del sottosuolo. Buio incontrastato e grande calore fino a quando un’energia improvvisa mi catapulta in un cielo terso senza nuvole all’orizzonte. Attraverso i gayser faccio conoscenza con la forza suprema di Atacama. Getti altissimi che si sprigionano con violenza e inondano il deserto sbarrandone a volte il passaggio. La terra sembra sbuffare nuvole di fumo da ogni dove sotto gli occhi vigili dei cactus che fanno da sentinelle all’immensa caldera.
La Bolivia è la porta per raggiungere la terra degli Inca.
Vengo traghettata attraverso le acque calme del Lago Titicaca; scivolo sotto le isole fluttuanti, terre emerse dal lavoro di intreccio delle canne di Totora, che galleggiano su uno specchio immobile e oleoso. Il respiro si fa corto, l’aria sembra finire da un minuto all’altro, le facce rugose e cotte da un sole più vicino che mai lavorano alacremente con in testa i loro berretti filati a mano con lana di alpaca. I bambini rincorrono una palla di stracci come io rincorro l’ultima boccata di aria. Non sono per nulla affaticati, sono felici, come tutti i bambini che rincorrono una palla.
La sponda opposta mi deposita in Perù. La città perduta emerge dalla foschia per miracolo. Hai appena il tempo di scorgerne le fattezze quando un altro banco di nebbia la cela di nuovo alla vista. Sembra che la natura voglia abituarti gradualmente alla sua bellezza, dosandone le sue grazie un poco alla volta.
Ci sono situazioni in cui le parole non servono: bastano gli occhi per ammirare ed un cuore per immagazzinare tutte le emozioni. Machu Picchu provoca lo stesso turbamento.
Scendo dalla Valle Sacra consapevole di solcare terre che trasudano misteri e tradizioni ancestrali. Vorrei trasformarmi ora in pioggia per poter scorgere anche solo per un istante le misteriose linee tracciate nel deserto. Enigmatici disegni di cui ancora non si conosce il significato.
Mi immergo nel Rio delle Amazzoni , metropolitana di fiumi, affluenti, corsi d’acqua, per affrontare l’ultimo tratto del mio viaggio attraverso il Brasile. Potrebbe sbucare un dinosauro dalla prossima ansa del fiume. Sarebbe del tutto naturale. Forse non riuscirei nemmeno a sentirlo, sovrastato dagli schiamazzi della foresta che giungono da ogni dove. Ci sono animali pericolosi dicono, eppure tutto sembra così in armonia che forse anche le belve più feroci sono ben volute in questo luogo.
Le acque marroni mi trasportano fino a Manaus. Al porto le barche ciondolano pigramente attraccate ai moli, anche loro infiacchite dall’umidità della foresta.
Belem è l’ultima città che attraverso prima che la foce mi depositi nel grembo dell’Oceano.
La mia piccola forza di goccia viene investita dalla vastità dell’abisso. Mi mescolo e vengo risucchiata nel vortice della corrente che deciderà per me quale sarà la nuova strada, la prossima meta, il nuovo viaggio.
Perché il mio viaggio scorre lento, perpetuo, è un viaggio senza fine che si rinnova continuamente…
Affogo in me stessa consapevole che scorrere non è che un’altra declinazione del verbo viaggiare.

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