Religione in Tibet

Religione
La religione autoctona del Paese è il cosiddetto Bon, una religione polidemonistica in cui la magia ha un’importanza notevole; dall’interazione con questa dottrina sciamanica deriva il carattere particolare del buddhismo tibetano.
Il buddhismo mahayana, nella forma tibetana chiamato spesso lamaismo, penetrò a fondo nel Paese. Fino al 1950 il Tibet era custode della ricca tradizione culturale degli insegnamenti del buddhismo mahayana e vajrayana (tantrismo); il Dalai Lama, ritenuto un’incarnazione del Buddha della compassione, era il capo politico e spirituale del Paese.

Buddha il fondatore
Buddha è stato senza dubbio un grande rivoluzionario: ha lasciato alle spalle la ricchezza materiale ed il potere di un regno, ma soprattutto, in un’India popolata dalle migliaia di Dei del pantheon Induista, gestito dai potenti brahamini, i sacerdoti dell’epoca, ha negato l’esistenza di un Dio creatore, per mettere nelle mani di ogni uomo la responsabilità dei suoi pensieri e delle sue azioni. Nasce la legge del Karma: il bene e il male sono la conseguenza delle nostre azioni, e il Buddha arriva ad affermare: “Non credete ai testi sacri, possono essere manipolati.

Cercate con le vostre forze la verità  e sperimentatela.” Su tratta di un messaggio forte che spinge alla ricerca e alla libertà  in ogni campo, non solo in quello spirituale, anche in quello ideologico, perché è dentro di noi che si trovano le risposte. “Ogni Uomo è un Buddha inconsapevole – dicono i Maestri – eliminare il veleno dell’ignoranza dalla nostra mente significa scoprire Buddha in noi e in ogni essere vivente.” E’ la fiducia verso l’essere umano, non più lupo o peccatore. E’ l’apertura verso la creazione di una società costruita sull’attenzione verso gli altri. E’, alla fine, la conquista della meta inseguita da ogni uomo: la liberazione dalla sofferenza e la conquista della felicità, ottenuta capendo ed aiutando il prossimo. E’ una felicità personale, ma sempre condivisa, la vera ricchezza spirituale. Il Grande Veicolo, il Mahayana, enfatizza il compito di portare ogni essere vivente alla liberazione dalle sofferenze e spinge l’individuo a lavorare profondamente su se stesso, ma sempre con la motivazione di aiutare gli altri. Per questo il Buddismo perde il suo connotato di religione per diventare, a seconda delle pratiche, scuola di pensiero, filosofia, psicologia, o una vera e propria dottrina sociale volta a creare una comunità di uomini attenti ai bisogni di tutti e in armonia con il Creato. La figura centrale del Buddismo Mahayana è, infatti, il Boddisattva: colui che rinuncia al conquistato Nirvana e ritorna sulla terra per svolgere il suo compito di aiuto spirituale e materiale, un uomo che sa scegliere, sulla base del momento e del luogo dove vive, i mezzi più idonei a raggiungere i suoi scopi altruistici.

Il Dalai Lama è considerato un Boddisattva: basta ricordare la sua instancabile opera per la pace, l’uso dei mezzi di comunicazione di massa, i viaggi nel mondo, l’attenzione verso le moderne tecnologie. Anche grazie a lui, il Buddismo sta riscuotendo sempre maggior consensi in Occidente, affascinato dalla serenità di una via spirituale non dogmatica e mai in antitesi con le altre fedi o con l’ateismo stesso. “Sviluppare un buon cuore”, è l’esortazione del Dalai Lama, che sempre invita a non lasciare la propria religione, ma ad approfondirla fino a comprenderne l’essenza: un messaggio di per sè ecumenico, spirituale e laico insieme, lontano da ogni desiderio di proselitismo.

 

Il Buddhismo
Il Buddismo, basato sul messaggio del Buddha, è una delle più importanti vie spirituali dell’Asia e una delle maggiori religioni del mondo. Nato nel VI secolo a.C., Gautama Siddharta, colui che diventerà il Buddha, “il Risvegliato”, iniziò la sua vita come principe nel piccolo stato di Sakyan, circa duecento chilometri a nord di Benares, ai piedi dell’Himalaya. Trascorse la sua giovinezza nella capitale Kapilavastu, un attivo centro commerciale pieno di mercanti e soldati, circondato da un turrito muro alto circa nove metri. Messo in guardia da un astrologo che il figlio sarebbe divenuto un imperatore o un Buddha, il Re Suddhodana cercò di assicurarsi la prima alternativa, tenendo il principe chiuso nel palazzo, in mezzo ai lussi e ai piaceri, lontano dall’influenza di estranei e dalla realtà della vita. Siddharta usci’ dalla sua prigione dorata soltanto in quattro occasioni: la prima vide un infermo, la seconda un morto, la terza un vecchio e l’ultima un prigioniero. Allora egli si chiese: “Il destino dell’uomo è proprio solo quello di nascere, ammalarsi e morire? Non c’è proprio nulla al di là di queste cose temporali?”.

Queste riflessioni, profondamente umane, lo indussero a meditare sul mondo e sulla sua sofferenza e lo spinsero ad abbandonare la famiglia ed il futuro regno. Di notte lasciò Kapilavastu, si liberò degli abiti regali, si rasò il capo e divenne pellegrino errante. Viaggiò verso sud, studiò con i più famosi filosofi dell’epoca, segui’ gli asceti, pratico’ ogni sentiero spirituale. Tutto invano. La speculazione filosofica, la trance estatica, la metafisica, le privazioni estreme: nulla lo appagava, nulla lo liberava. Giunto al villaggio di Dungeshvari, decise di dedicarsi completamente alla meditazione per sperimentare su di sè la ricerca della verità. Per sei anni visse in assoluta austerità, senza alcun risultato. Poi un giorno, mentre beveva al fiume, scivolò nell’acqua e non fu più capace di uscirne da solo. Fu trascinato dalla corrente fino ad un villaggio chiamato Bakraur, dove una giovane lo trasse dalle acque, lo curò e lo restitui’ alla vita. Una volta guarito, egli rimase ad osservare le acque del fiume Naranjara, luminose nella splendente luce lunare di maggio, si sedette all’ombra di un grosso albero e si immerse in meditazione. Qui finalmente, nel giorno del plenilunio di maggio, egli raggiunse l’illuminazione: Siddharta, il Principe dei Sakya, non esisteva più, era diventato il Buddha, l’Illuminato. Per una settimana rimase presso l’albero della sua Illuminazione, a Bodhgaya, da solo, cercando di capire come spiegare agli altri la natura della sua realizzazione. Decise quindi di aiutare gli esseri umani a trovare la via della liberazione predicando la sua dottrina. Nel Parco delle Gazzelle, a Sarnath, non lontano da Benares, la città sacra dell’Induismo, parlò per la prima volta a cinque asceti della sua Dottrina (Dharma), e cosi’ nacque il primo nucleo della Comunità dei suoi monaci (Sangha).

Buddha, Dharma e Sangha sono definiti come i Tre Gioielli (Triratna), i tre pilastri del Buddismo. Il nucleo della dottrina del Buddha sono le Quattro Nobili Verità la vita è sofferenza, esiste una causa per questa sofferenza, esiste un rimedio alla sofferenza, esiste il sentiero che conduce all’Illuminazione. La via da seguire per raggiungere questo fine è il cosiddetto “Ottuplice Sentiero”, fatto di azioni positive e di saggezza: esso porta alla liberazione dal ciclo interminabile di nascita, morte e rinascita che ci riportano, reincarnazione dopo reincarnazione, sulla terra a sperimentare sempre nuove sofferenze (samsara). Solo lo stato di Buddha, l’Illuminazione, non più condizionato dall’attaccamento alle cose terrene e dall’ignoranza, ci fa uscire da questi cicli per una beatitudine senza limite: il Nirvana. Quando il Buddha lasciò il suo corpo ed entrò nella luce del Nirvana, aveva ottanta anni ed il suo insegnamento, ormai diventato una tradizione religiosa, si estese su vaste regioni dell’Asia. Il Buddismo, basato sul rispetto e sulla tolleranza, si adattò ad abitudini mentali e a sfere culturali diverse, fondendosi armoniosamente con esse. Dal Buddismo nacquero in Asia due grandi correnti: l’Hinayana, o il PiccoloVeicolo, diffuso ad esempio in Laos, Cambogia, Thailandia, ed il Mahayana, il Grande Veicolo, praticato nelle zone himalayane, e quindi in Tibet, mentre in Giappone il Buddismo Mahayano, arricchito di nuove tecniche meditative e speculative, prese il nome di Zen.

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