Storia in Timor Est

Timor Est Fece la sua prima apparizione sulle carte geografiche nel 1512 sotto la denominazione di “Ilha onde nasce o sandalo”. L’isola fu scoperta tra il 1512 ed il 1520 dai portoghesi. La conquista portoghese portò alla caduta dei regni locali nel 1641. Il Portogallo si scontrava nell’area con un’altra potenza imperialista: i Paesi Bassi, che conquistarono tra l’altro anche la parte occidentale di Timor. Tra i due colonizzatori si produssero continue tensioni risolte solo nel 1859 quando, con il Patto di Lisbona, l’isola fu spartita. A Timor Est si susseguirono tentativi di ribellioni contro i portoghesi, le quali non nascevano dal bisogno d’indipendenza, ma dalla necessità di contrastare alcuni aspetti della colonizzazione, tra cui le imposte e la cristianizzazione. Una prima serie di ribellioni scoppiò tra il 1719 e il 1769 ed un’altra tra il 1861 e il 1907, quest’ultima caratterizzata dall’opposizione del tentativo portoghese di sostituire le autorità locali a vantaggio di altre scelte dai colonizzatori. Nel 1926 un colpo di stato militare portò in Portogallo l’instaurazione di un regime di tipo fascista che mantenne neutrale il Paese nel corso della seconda Guerra Mondiale. Australia e Paesi Bassi, temendo che l’isola potesse divenire una base giapponese, ne violarono la neutralità occupandola. Nel febbraio del 1942 le forze giapponesi avanzarono rapidamente attraverso il sud-est asiatico. Gli alleati inviarono soldati a Timor, con l’obiettivo di fermare l’avanzata nipponica ed impedire la manutenzione delle piste aeree e dei ponti che potessero permettere attacchi contro il nord dell’Australia. Quando nel gennaio 1943, dopo la sconfitta di Guadalcanal, l’Australia ebbe la certezza che il Giappone non avrebbe più potuto invaderla, si ritirò da Timor, lasciando campo aperto alla rappresaglia giapponese ed ai successivi bombardamenti alleati. Questa resistenza costò ai timoresi 60.000 morti, ma alla fine della guerra furono ricompensati con la riconferma dell’autorità portoghese sull’isola.
Nel 1974 in Portogallo ci fu un colpo di stato militare dai caratteri progressisti: ‘la Rivoluzione dei garofani’, che pose fine al fascismo e si ripromise la decolonizzazione dell’Africa e dell’Asia. Le dittature di lunga durata con Salazar e Caetano terminarono. I processi finanziari ed un’ideologia in mutamento portò ad un’accelerazione del processo di liberazione delle colonie portoghesi. A Timor Est venne concessa la libertà di formare partiti politici di stampo nazionalista. Si fondò così l’União Democratica Timorense (UDT) formata da esponenti della borghesia locale, di tendenze conservatrici e favorevole all’autonomia. Nello stesso periodo nacque la Associacão Social Democratica Timorense (ASDT), formata da impiegati statali, insegnanti ed ex seminaristi. Questo processo si attuò in un clima di crescente radicalizzazione di massa, che portò in pochi mesi l’ASDT a denominarsi Frente Revolucionaria de Timor-Leste Independente (FRETILIN) con accentuati caratteri anticoloniali, indipendentisti e socializzanti. Da questo movimento sorse anche l’abitudine a denominare la propria nazionalità “maubere”. Il FRETILIN, grazie al suo attivismo e alle posizioni avanzate, superò rapidamente nei consensi l’UDT. Nel gennaio 1975 entrambi si ritrovarono nel governo di coalizione che doveva pilotare l’isola verso il suo assetto istituzionale definitivo. I timoresi manifestarono il proprio entusiasmo per la libertà di espressione politica e per l’indipendenza nei comizi realizzati a Deli tra il 1974 ed 1975. All’inizio degli anni ’70 venne scoperto un vasto giacimento di idrocarburi nel mare di Timor e nel 1972 l’Australia firmò un accordo con l’Indonesia che gli assicurava il controllo dell’85% della zona. Il 7 dicembre 1975 cominciò l’invasione indonesiana, su larga scala con attacchi marittimi ed aerei, appoggiata dall’Australia sia sul piano politico che diplomatico. Questa fu la più grande operazione militare degli indonesiani dalla Guerra di Indipendenza con gli olandesi. Il Governo di Canberra arrivò ad impedire l’incontro di un rappresentante ONU con esponenti della resistenza timorese, fornì al governo di Jacarta mezzi idonei alla lotta antiguerriglia e nel 1978 riconobbe l’annessione di Timor Orientale come provincia indonesiana.
Il Portogallo si limitò a proteste verbali e a rompere le relazioni diplomatiche, di fronte all’occupazione di un territorio che, non avendo riconosciuto l’indipendenza, considerava ancora suo. I militari indonesiani, appena sbarcati, cominciarono subito col compiere stragi senza precedenti sull’isola. Organizzarono inoltre un meticoloso saccheggio degli edifici di Dili, caricando la refurtiva su navi che aspettavano al largo. Gli USA decretarono un embargo sulla vendita di armi puramente formale, mentre Inghilterra ed Australia, pur informati dei massacri, fecero di tutto per coprirli. L’Indonesia e i suoi sostenitori utilizzarono differenti tentativi per giustificare l’invasione: uno fu il sostenere che l’anarchia regnava a Timor est e che la scia comunista che si era diffusa nel paese poteva rappresentare una minaccia militare per l’Indonesia. Nel luglio 1976 l’annessione fu formalizzata da parte dell’Indonesia che occupò militarmente la parte rimasta al Portogallo (Timor Est) per poi annetterla come ventiseiesima provincia, con l’assenso di Lisbona. Tale annessione non fu mai riconosciuta dall’Onu. Nel 1975 il Fretlin, il Fronte di liberazione nazionale, proclamò l’indipendenza dell’ex colonia portoghese, e da allora ha condotto una strenua lotta di resistenza duramente repressa dal governo indonesiano, con uccisioni, torture e massacri.
Solo nel 1989 l’Indonesia diede inizio a una relativa apertura del territorio, che all’epoca viveva in un isolamento praticamente totale. Allo stesso tempo volle accattivarsi le simpatie dei timoresi con programmi di sviluppo sociale, come la costruzione o il recupero di strade, scuole e ospedali. Le Nazioni Unite con le risoluzioni del 1975 e del 1978 condannarono il governo di Suharto per violazione dei diritti umani e genocidio: solo nei primi sei anni di occupazione 200.000 vittime, su una popolazione di 680.000 abitanti. Fu uno dei maggiori ‘olocausti’ del periodo successivo la II Guerra Mondiale. Certamente il più grave incidente, dall’occupazione indonesiana ad oggi, fu il sanguinoso massacro avvenuto il 12 novembre 1991 a Dili, nel cimitero di Santa Cruz. Durante la messa funebre in memoria di un giovane ucciso dalle forze dell’ordine. Il corteo di circa duemila persone avanzava pacificamente contro l’invasore, quando improvvisamente arrivò un contingente militare che cominciò a far fuoco contro la folla uccidendo, secondo le stime di Amnesty International, almeno 270 persone. All’indomani del massacro i portavoce dell’esercito dichiararono che erano state uccise solo diciannove persone, sostenendo che l’esercito aveva dovuto rispondere al fuoco dei dimostranti per difendersi. Le immagini del massacro, realizzate da giornalisti stranieri, fu presentato nel febbraio 1994 in molte nazioni occidentali. Per la prima volta veniva fatto vedere quello che realmente stava accadendo a Timor Est. Il documentario non solo dimostrava che nel cimitero di Santa Cruz ci fu effettivamente un massacro, ma che ne era seguito un altro nell’ospedale nel quale furono ricoverati i feriti. Solo dopo il massacro al cimitero di Dili, le nazioni occidentali cominciarono ad interessarsi a ciò che stava accadendo. Ma, mentre l’Indonesia veniva condannata a parole, continuava la vendita di armi al regime e si rafforzavano i legami economici tra Jacarta e gli Stati Uniti. Le sempre più frequenti rivolte della popolazione di Timor Est in nome della libertà e l’assegnazione del premio Nobel per la pace, nel 1996, al vescovo Carlos Ximenes Belo e al leader storico della resistenza timorese José Ramos-Horta, portarono ad un cambiamento della situazione e ad un intervento più diretto dell’Onu, che promosse il referendum del 30 agosto scorso. Nel luglio del 1997 il presidente Nelson Mandela visitò Xanana Gusmão, leader del Fretilin, in prigione, cominciando a fare pressione per una soluzione negoziata. Nello stesso anno la crisi economica in Asia colpì duramente l’Indonesia e il regime di Suharto cominciò a vacillare, con manifestazioni sempre più violente nelle strade, che condussero alle dimissioni del generale nel maggio del 1998. Portogallo e Indonesia negoziarono la realizzazione di un referendum popolare, sotto la supervisione di una missione delle Nazioni Unite, la UNAMET. Tuttavia, l’esercito indonesiano, vedendosi sfumare il controllo del territorio, reclutò ed addestrò milizie armate che diffusero il terrore fra la popolazione. Nonostante tutte le minacce, il 30 Agosto del 1999, oltre il 98% della popolazione andò alle urne e il risultato non lasciò margini di dubbio: il 78,5% dei timoresi scelsero l’indipendenza. Ancora prima della proclamazione dei risultati, le milizie, protette dall’esercito indonesiano, scatenarono una violenza incredibile. Uomini armati cacciarono e uccisero nelle strade tutti quelli che supposero aver votato per l’indipendenza. La popolazione cominciò a fuggire sulle montagne o a cercare rifugio nelle chiese e nelle sedi delle organizzazioni internazionali. Tutti gli stranieri vennero evacuati, lasciando Timor in balia della furia delle milizie armate. Alla fine l’ONU decise di formare una forza internazionale di intervento e il 22 settembre del 1999 i soldati ONU entrarono a Dili e trovarono un paese totalmente devastato e incendiato. Finalmente, nell’aprile del 2001, due anni dopo il referendum popolare, i timorensi tornarono alle urne. Le elezioni consacrarono Xanana Gusmão come il nuovo presidente del paese. Dalla mezzanotte fra il 19 ed il 20 Maggio 2002, Timor Est è ufficialmente una Nazione indipendente: nasce la Repubblica Democratica di Timor Est.

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