di Marco Zanni
Da giovani si è sognatori. Se si vive in una piccola città lo si è ancor di più. Se si è giovani, di un paesino e si fa esperienza all’estero venendo a contatto con persone da tutto il mondo, i sogni e la voglia di conoscere crescono sempre più.
Questa è la mia storia, un ragazzo di un piccola città di provincia che si ritrova in una metropoli quale Madrid per uno anno di studi finanziato da un progetto europeo.
I grattacieli, i taxi, i cartelloni pubblicitari e il movimento fervente e costante tipico di una metropoli mi hanno incantato e riempito di curiosità.
L’amicizia con persone di diverse nazionalità, gli sguardi e gli amori sfuggenti sono entrati nel mio bagaglio di esperienze e tornati con me nella mia città di provincia da dove progetto e sogno di ripartire per conoscere quelle terre lontane raccontate e assaporate dalle persone incontrate durante un anno a Madrid.
Le feste sfrenate con i brasiliani, i caffè presi con la mia amica neo-zelandese Amy, le cene sushi a casa di timidi ragazzi giapponesi e altri ricordi di incontri, hanno tracciato nella mia mente una linea di viaggio-sogno che vorrei seguire e compiere per rincontrare queste persone e vivere alcuni loro spaccati di vita e quei posti tanto immaginati. Ana Maria, la mia ex fiamma colombiana, è sicuramente la persona che è riuscita a creare in me il più forte interesse verso una terra, la Colombia, il cui caffè ha lo stesso colore dei suoi occhi e il cui sole è riflesso sulla sua scura pelle. Parlando con lei, sfiorandola e osservandola, si è concretizzata in me la voglia di conoscere la zona “cafetera” centrale della Colombia, magari cavalcando uno dei cavalli neri di suo zio, o degustando le saporite “arepas” della nonna, la quale ci mandava costantemente i saluti da Skype.
Ecco deciso. Colombia sarà l’ultima tappa del mio viaggio, la più importante. E’ si perché in molti dicono che il giro del mondo è di più facile percorrenza verso est, quindi lascio il gran finale del mio viaggio in sud America e pianifico il grande inizio a Bangkok, Thailandia.
Lì conosco una ragazza dai modi nobili ed eleganti, dai capelli lisci e occhi tagliati tipici della popolazione thailandese; il suo nome è Pareena. Pareena ed io ci siamo incontrati grazie ad amici in comune e subito ha attirato la mia attenzione per la sua pacatezza e gentilezza che più tardi ho scoperto essere frutto di radici culturali di una nobile e facoltosa famiglia thailandese. Più volte davanti un the o camminando per le vie di Madrid, Pareena mi ha raccontato le storie del suo paese, storie di povertà e contraddizioni. Mi ha ribadito la presenza del turismo sessuale italiano e descritto i quartieri poveri del centro, la confusione dei mercatini popolari e i casinò per turisti. Lei vive in periferia in una zona pulita e sicura; la sua casa me la immagino bianca, con parquet e colonne in stile orientale.
Sono curioso di conoscere le sue sorelle e imparare i loro modi di fare per ricambiare la gentilezza e l’ospitalità offertami. Non rinuncerei certo ad un massaggio thai in un tipico centro benessere dopo aver magari assaporato un piatto tipico di verdure tagliate alla julienne e condite con salsa di soia. Da buon italiano infatti, non resisterei alla tentazione di provare ottimi pasti orientali e provare la famosa pizza di Nino, un ragazzo napoletano che secondo Pareena fa la pizza italiana più buona di Bangkok. Vorrei confermare o sfatare il mito dicendo che in Italia la pizza è diversa.
Dopo i vari ringraziamenti e saluti alla famiglia di Pareena, mi rimetterei in cammino verso il Vietnam, altro paese orientale che ho imparato a conoscere attraverso un compagno di università. Anche il Vietnam dovrebbe essere un paese affascinante; la sua popolazione che ha resistito agli attacchi americani è famosa per la sua laboriosità e gentilezza nei confronti degli stranieri, cosa assurda eh?! Le vaste risaie e i lavoratori dai cappelli a punta in paglia sono l’immagine più forte che sono riuscito a creare nella mia mente attraverso i racconti di Nguyen, il vietnamita conosciuto all’università.
Tra la vegetazione fitta, vorrei percorrere piccoli fiumiciattoli a bordo delle tipiche barchette in legno e lasciarmi avvolgere dalla foschia che rende quei posti surreali. Mi aspetto di osservare e fotografare animali mai visti prima e magari di scoprire che la popolazione locale mangia alcuni insetti strani, apparentemente disgustosi. Sarei curioso di conoscere le varie religioni e i loro templi sacri, in un viaggio mistico e naturale, tra sacro e profano. Interessante è per me riuscire a distinguere, una volta per tutte, le differenze nei caratteri somatici delle varie popolazioni orientali, il loro diverso taglio di occhi e il colore e la struttura dei capelli. Il proseguimento del mio viaggio verso la prossima tappa, mi aiuterà a notare queste differenze.
Con entusiasmo, riprendo l’aereo dei miei sogni. Destinazione Giappone.
Haneda, Tokyo International airport. La prima cosa che so già mi rimarrà impressa, è il simpatico siparietto che si crea all’uscita “ARRIVI” dell’aeroporto perché i giapponesi per accogliere parenti o amici e in generale per salutarsi, non usano grandi abbracci, strette di mano e urla di gioia come accade in Italia, ma bensì inchinano il capo e con un accenno di sorriso e molta compostezza si avviano verso l’uscita dell’aeroporto. Situazione questa che non intaccherà comunque la mia felicità di arrivare in Giappone e soprattutto la gioia di scorgere tra la folla Misaki e Mamiko che presumibilmente mi aspettano con un cartello di benvenuto scritto in italiano.
Il primo impatto con la città non dovrebbe essere poi affatto timido. Tra grattacieli e pubblicità in caratteri nipponici, il clacson delle auto e flussi di persone che affollano i marciapiedi, la voglia di chiedere informazioni e raccontarsi storie sul passato con Misaki e Mamiko è sfrenata.
Una settimana a Tokyo va vissuta intensamente e così ecco immaginarmi giornate piene, fatte di visite a luoghi storici e a grattacieli supertecnologici. Tra un ristorante di sushi e l’altro, andrei sicuramente a cantare il karaoke con gli amici di Misaki e Mamiko e tra ragazzi con nomi irripetibili e ragazze in tenuta da scolarette, entrerei e capirei maggiormente la cultura giapponese, tanto diversa da quella occidentale quanto affascinante. Affascinante è il momento del the, preso seduti a gambe incrociate su un bellissimo parquet di legno, o quello della zuppa che si beve impugnando con due mani una ciotola di porcellana e aspirando, creando rumori appositi per dimostrare gradimento. Affascinanti sono le quotidiane espressioni e sguardi di imbarazzo dovuti ad incomprensioni culturali, affascinanti sono i bonsai di una casa di campagna, affascinante è sicuramente il volto rugoso di un anziano giapponese che ricorda il passato.
Il Giappone è terra di imperi, guerre e disciplina secolare, terra da vivere in una settimana tutta di un fiato prima di partire alla volta dell’Australia, un paese al contrario giovane e vergine. Dal Giappone porterei con me in valigia alcune foto con i miei amici sorridenti e mostranti le due dita in senso di vittoria, alcuni origami e le simpatiche infradito giapponesi in legno. Nel cuore mi porterei la gratitudine e ammirazione per un paese e una popolazione riservato e ospitale allo stesso tempo, che mostra e dimostra un grande senso di appartenenza, coesione, umiltà e laboriosità.
Con lo zaino e la testa pieni di ricordi il mio viaggio immaginario prosegue alla volta di un altro continente, l’Oceania. Dalla cartina Australia e Nuova Zelanda sembrano un po’ mamma e figlio balena. In realtà il mio amico australiano Marshall e la mia amica “kiwi” Amy mi hanno spiegato le innumerevoli differenze tra i due paesi, suscitando in me la voglia di visitarli in questo viaggio.
Con Marshall percorrerei tutta la cosiddetta “East coast”, la costa est dell’Australia dove sorgono Sydney e Brisbane, due metropoli che costituiscono un po’ il simbolo di una nazione che ha origini occidentali e che vuole dimostrare modernità e ricchezza alle spalle dell’agricoltura e dei deserti che maggiormente la costituiscono. Queste città sono simbolo di orgoglio di una nazione che si sta sviluppando velocemente e che fa invidia ai cugini neo-zelandesi ancora appigliati all’agricoltura.
Marshall, che è un architetto, mi mostra l’imponente architettura di Sydney, dove ha studiato per cinque anni, e mi fa notare quanti stranieri abbiamo deciso di andare a vivere in Australia per le favorevoli opportunità di lavoro e condizioni di vita. La gente in effetti è molto socievole, sembra essere spensierata e molto open-minded.
L’Australia è la terra di immigranti e emigranti e proprio per questo ha connotazioni multiculturali. Numerosi sono i fast food americani ma anche i ristoranti orientali e numerosi sono i dialetti linguistici dell’inglese. Inglese che già faticavo a capire quando Marshall a Madrid mi raccontava che il calcio non è uno sport molto conosciuto in Australia. Il baseball e il cricket dominano le scene sportive mentre in Nuova Zelanda l’unico vero sport è il rugby, quasi una religione per i cugini degli australiani.
La Nuova Zelanda al corner del mondo si coccola i suoi All Blacks, le tradizioni Maori e la splendida e incontaminata natura atlantica.
E’ un paese dove il numero di pecore supera quello delle persone, dove la tranquillità e il rumore del vento ne fanno da padroni.
Amy è un po’ così, pacata, amante della natura e orgogliosa delle antiche tradizioni della sua terra. In Nuova Zelanda mi ospiterebbe nella sua casetta di campagna e sono sicuro che mi mostrerebbe i suoi animali e il significato delle scritte maori che in Europa sono usate e bistrattate solo per tatuaggi alla moda. Mangeremo cibi genuini e faremo scampagnate su colline a picco sul mare, da dove guarderemo l’orizzonte e inizierò a prepararmi per la successiva traversata oceanica, destinazione Brasile. Il sole rosso neo zelandese si assomiglia molto a quello del tramonto di Rio de Janeiro. L’unica differenza è che il sole non lo osservo più da una collina dalla verde vegetazione, ma da una spiaggia di sabbia bianca, all’ombra di un barzinho che trasmette musica popolare brasiliana.
La gente è felice, c’è allegria nell’atmosfera. C’è chi balla spontaneamente davanti le casse, chi ride e chi sorseggia acqua di cocco da noci appena colte. L’altezza delle palme è tanto impressionante quanto è sottile la linea d’ombra che disegnano sulla sabbia, ma la suggestività che creano sul lungomare di Rio è unica. Rio e il Brasile sono posti che da sempre ho voluto visitare, in qualche modo li sento familiari come sento vicini i ragazzi brasiliani che ho conosciuto a Madrid e per i quali nutro un sentimento fraterno. I brasiliani sono molto simili agli italiani, cordiali, passionali e appassionati di calcio. In più loro hanno una gioia di vivere e una spensieratezza tipica dei paesi sud americani in via di sviluppo. Spensieratezza che vorrei godermi con i miei amici giocando a futból in spiaggia, sorseggiando caipirinhas tra risate e perché no, imparando passi di samba. Con i miei amici brasiliani vivrei alla giornata, senza orari né preoccupazioni su come vestirsi perché come dicono loro, con un pantaloncino e due havaianas si va dappertutto. Proverei sicuramente a fare surf sulle alte onde oceaniche e farei amicizia con molti ragazzi che probabilmente rincontrerei la sera tra le vie del quartiere Lapas, famoso per i numerosi bar e la sua movida notturna. Proprio questo clima rilassato e amichevole aiuterebbe a smorzare la tensione che avrei potuto avere nel pensare al futuro incontro con la mia ex fiamma in Colombia. Il solo pensiero di entrare in casa sua, incontrare la famiglia e i suoi amici infatti mi ha sempre messo un po’ d’ansia ma ecco come un battito di ciglio arrivare il tanto atteso giorno.
Dal Brasile alla Colombia. Da Rio de Janeiro a Bogotà per poi prendere un bus e scendere giù fino a Cali, città natale di Ana. Questo viaggio in bus me lo immagino appoggiato al finestrino, scrutando i paesini che man mano si succedono per otto interminabili ore. Una volta arrivato a Cali la mia stanchezza lascerebbe sicuramente posto all’emozione e curiosità di incontrare Ana che come suo solito, mi accoglierebbe con palloncini, cartelli e chissà cos’altro le viene in mente da quella mente creativa e un po’ infantile che la rende a suo modo affascinante. Ana è una ragazza solare, molto attiva ed energetica quanto un bambino di dieci anni con un pallone tra i piedi in un parco. Sicuramente la sua voglia di mostrarmi e raccontarmi i suoi luoghi natali e peripezie, non renderebbe mai noiosa la mia visita in Colombia, anzi la renderebbe intensa e piena di emozioni. Tra passeggiate a cavallo, visite a musei, parchi naturali e necessarie pause di buon caffè colombiano, il mio viaggio immaginario non avrebbe miglior conclusione che a Cali, da Ana, in Colombia. La stazione di arrivo di un viaggio emozionante e di partenza verso la realtà quotidiana.
Il treno sul quale sono salito con questo racconto, è un treno immaginario che chissà si concretizzerà un giorno grazie a questo concorso. Fino ad allora, la mia mente continuerà ad immaginare e a creare immagini e discorsi con i miei amici internazionali, incontrati un paio di anni fa durante un anno di Erasmus.
Viaggio. Con la mente viaggio.
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