Il lungo e travagliato percorso che ha portato all’indipendenza e la perdurante situazione di precarietà politica hanno causato un ristagno nello sviluppo economico. Il Paese è poverissimo, prevalentemente impegnato in un’agricoltura e in una pesca di sopravvivenza, con una disoccupazione che sfiora il 70%. Nel 2008 il PIL è stato di 499 ml $ USA, con un PIL pro capite di 469 $ USA, il secondo più basso di tutta l’Asia. La maggior parte della popolazione attiva è impiegata nel settore primario, che da sempre sostiene la piccola economia del Paese, anche se il contributo complessivo al PIL è inferiore a un terzo del totale. L’agricoltura, quasi esclusivamente di sussistenza, fornisce riso, grano, manioca, soia, patate dolci, frutta (mango, banana), vaniglia, chiodi di garofano e cannella ma la produttività è bassa anche a causa dell’arretratezza delle tecniche. Tra le colture industriali si hanno il cotone, il tabacco e il caffè che, diffuso in epoca coloniale, alimenta una modesta esportazione. Sulle coste e nelle isole di Atauro e Jako è diffusa la pesca. Lo sfruttamento del legno di sandalo, praticato già da arabi e cinesi, ha subito un incremento incontrollato durante la colonizzazione portoghese, tanto che buona parte di questo patrimonio risulta compromesso. Tuttavia, il legname costituisce ancora una risorsa importante. La scoperta di giacimenti di petrolio e gas naturale nel Mar di Timor hanno già consentito a Timor Est di incrementare le entrate che potrebbero alimentare gli investimenti, e lo sviluppo economico. L’artigianato locale produce profumi, sapone, tessuti, ceramiche, ceste, oggetti in legno. Iniziano, inoltre, a pervenire fondi dallo sfruttamento delle risorse di petrolio e gas naturale presenti nelle acque territoriali. La bilancia commerciale è ampiamente deficitaria: il Paese deve importare beni di prima necessità, oltre a macchinari e prodotti farmaceutici. Gli aiuti internazionali coprono più della metà del PIL.
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