Storia della Mongolia

Gli scavi archeologici effettuati nel Gobi e in altre regioni della Mongolia hanno portato alla luce alcuni resti umani risalenti a circa 500.000 anni fa. La Mongolia fu infatti popolata fin dall’antichità da popolazioni nomadi che vivevano di allevamento ed agricoltura e che in più di un’occasione, organizzate in potenti federazioni politiche, invasero la Cina.
Il termine “mongolo” fu utilizzato per la prima volta proprio dai cinesi all’epoca della dinastia Tang (618-907). Tra il IV° e il XII° sec. d.C. non ci sono però molte notizie sulle tribù, prevalentemente unne, che si trovavano in questa vaste prateria dell’Asia centro-settentrionale.
I mongoli non erano molto inclini a stringere alleanze con le altre popolazioni nomadi dell’Asia settentrionale. Rimasero poco più che una confederazione disgregata di clan rivali fino alla fine del XII secolo, quando, più precisamente nella primavera del 1206 d.C., un’assemblea generale delle popolazioni di stirpe mongola si riunì per eleggere una guida comune. La scelta cadde su un mongolo di appena 20 anni chiamato Temujin (“il fabbro”), che passerà poi alla storia con il titolo onorifico di Genghis Khan, “Sovrano Universale”. Per i mongoli la sua figura incarna gli ideali di forza, unità, legge e ordine. Genghis Khan nominò l’odierna Kharkhorin capitale del suo regno e lanciò la sua coraggiosa cavalleria contro Cina e Russia. Alla sua morte, che avvenne nel 1227, era riuscito ad unificare le numerose etnie che coesistevano nel Paese, creando un vero e proprio impero.
Il nipote di Gengis Khan, Kublai Khan, portò a compimento la conquista della Cina, ponendo fine alla dinastia Song e divenendo il capostipite della dinastia Yuan (1271-1368). È in questo periodo che si registra il massimo fulgore della Mongolia: l’Impero Mongolo, il più vasto che il mondo avesse mai conosciuto, si estendeva dalla Corea all’Ungheria e, a sud, fino al Vietnam.
Dopo la morte di Kublai Khan, avvenuta nel 1294, i mongoli presero però a dipendere sempre più dalle popolazioni che essi avevano assoggettato e si guadagnarono il disprezzo generale creando una classe elitaria e privilegiata, mentre tutto l’impero era preda di fazioni rivali in lotta per il potere. I mongoli furono cacciati da Pechino alla metà del XIV° secolo dal primo imperatore della dinastia Ming. Alla disgregazione dell’impero seguirono anni di declino segnati da guerre fra clan rivali.
Nel XVII° secolo, il Paese divenne dominio della dinastia Manciù che regnava sulla Cina, andando a costituire due province cinesi, la Mongolia Interna ed Esterna. Nel frattempo, alla fine del XVII° secolo, la Mongolia perse la sua parte settentrionale ed il lago Bajkal a seguito dell’invasione russa.
La storia della Mongolia moderna inizia con la caduta della dinastia cinese Manciù (1911). La Mongolia, approfittò infatti di questa occasione per dichiarare la propria indipendenza dalla Cina, diventando un protettorato russo governato da una monarchia teocratica. Nel 1915, Mongolia, Cina e Russia firmarono il trattato di Kyakhta, che sanciva il riconoscimento di una limitata autonomia della Mongolia.
Nel 1919 però la Cina, approfittando della debolezza russa dovuta alla rivoluzione bolscevica del 1917, occupò la capitale. Nel luglio del 1921 un giovane ufficiale, Sükhe-Bator (1893-1923), riunì intorno a sé l’opposizione nazionalista mongola, alleandosi con i bolscevichi, e l’asse russo-mongolo riuscì così a riconquistare Ulaan Baatar. La condotta brutale tenuta sia dai cinesi sia dai russi aveva però alimentato il desiderio di indipendenza da parte dei mongoli. Lo stesso anno venne dunque costituito il nuovo Partito Popolare Mongolo (il primo partito politico della storia della Mongolia, nonché l’unico per i successivi 69 anni) le cui milizie, sostenute dall’Armata Rossa, cacciarono dal Paese le residue truppe cinesi e quelle antibolsceviche. Il partito salì così al governo del Paese e, il 26 novembre 1924, fu proclamata la Repubblica Popolare di Mongolia, la seconda nazione comunista del mondo.
Allineati all’Unione Sovietica, i dirigenti della Repubblica Popolare intrapresero una radicale trasformazione del Paese. La collettivizzazione delle terre e degli allevamenti e la confisca dei monasteri causarono agli inizi degli anni Trenta frequenti rivolte, soffocate nel sangue dalle autorità bolsceviche.
Nel 1936 poi, a seguito della perdita della Cina, l’impero mongolo conobbe un forte declino. A partire dal 1937 conobbe una stagione di lotte interne al partito e iniziarono le purghe staliniste che catapultarono la Mongolia in un vero e proprio incubo totalitarista. La campagna antireligiosa del governo fu particolarmente brutale: ebbe inizio una cruenta lotta contro i monasteri, che vennero rasi al suolo e migliaia di monaci furono sterminati.
Nel 1945 la conferenza di Jalta confermò il protettorato sovietico sulla Mongolia e l’anno seguente la Repubblica Popolare Mongola venne riconosciuto dalla Cina (dal 1949 i due paesi stabilirono normali relazioni diplomatiche). Accolta nel 1961 nelle Nazioni Unite, la Mongolia riprese a coltivare stretti rapporti politici ed economici con i sovietici, al punto da essere considerata una repubblica organica all’Unione Sovietica e tanto da aver ospitato molte basi URSS durante la Guerra fredda ed un contingente di circa 65.000 uomini. Dal 1966 i due paesi sono legati da un trattato di amicizia e di mutua assistenza.
Nella seconda metà degli anni Ottanta l’ascesa di Michail Gorbaciov alla guida dell’Unione Sovietica determinò anche in Mongolia l’inizio di un processo di democratizzazione, sotto la guida di Jambyn Batmonkh, che nel 1986 avviò anche in Mongolia un cauto tentativo di perestroika (ristrutturazione economica, politica e sociale) e glasnost (trasparenza politica). Il disfacimento dell’Unione Sovietica portò poi, per forza di cose, alla decolonizzazione, che culminò nel luglio 1990 con le prime elezioni multipartitiche. Solo poche persone erano preparate ad affrontare la velocità del cambiamento e il Paese si è trovato ad affrontare una difficile transizione dopo 75 anni di ininterrotto regime comunista, che ha visto alternarsi al governo il Partito Popolare Rivoluzionario Mongolo (PPRM), nato dalla trasformazione dell’ex partito comunista al potere, e una coalizione di forze di vaga ispirazione democratica.
I vari governi che si sono susseguiti hanno cercato di attirare investimenti esteri e di attuare una politica di riforme e privatizzazioni basata sul modello occidentale, ma non ciò è bastato a evitare l’espandersi di miseria e carestia su vasta scala. Il Paese è peraltro afflitto da una diffusa corruzione degli apparati statali e, dopo il 2000 in seguito a un periodo di freddo intenso che ha causato la morte di milioni di capi di bestiame, da una crisi economica ancora più grave.
Nel maggio 2005 le elezioni presidenziali sono state vinte dall’ex-comunista Nambaryn Enkhbayar con il 53,4% dei voti.

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